Il viaggio del cambiamento

Il viaggio del cambiamento

Dopo una lunga assenza dal blog torno a scrivere qua. È stato un periodo denso di cambiamenti e di lavoro, le cose procedono e cambiano. Si lavora e si tira il fiato. Tutto all’interno di un ritmo che poco concede di fermarsi e scrivere due parole.

le scale del cambiamento

Le scale del cambiamento, ph di Jukan Tateisi

Anche se tutto intorno cambia ci sono dei punti fermi che restano e su cui vale la pena soffermarsi: il primo è che il cambiamento avviene per gradi e ci sono anche delle fasi intermedie. Come diceva Twain: “le abitudini non si buttano dalla finestra ma dalle scale e uno scalino alla volta”. Cosa significa questo? Che per cambiare occorre tempo. Mentre facciamo scendere le scale e accompagniamo fuori dalla porta le cose che non ci piacciono dobbiamo comunque usargli cautela, altrimenti potremmo farci male, rompere qualcosa e dover poi raccogliere tutti i cocci. Cambiare è possibile, ma con i giusti tempi, tenendosi magari anche al corrimano e a volte chiedendo aiuto a qualcuno per scendere quella scala particolarmente ripida o traballante.

… e quando veniamo spinti giù?

Cambiamento, ph Chris Lawton

Certo a volte ci capitano dei cambiamenti improvvisi, su cui non abbiamo potere e che spesso e volentieri ci spiazzano e lasciano anche tramortiti. In questi casi è a mio avviso necessario prendere atto di quanto ci sta capitando e, per quanto possibile, non remare contro le novità ma osservarle gradatamente sempre da più vicino. Se ci fanno star male e sentire impotenti ci sono diverse possibilità d’azione ma in ogni caso è necessario in qualche misura scendere a patti con la parte incontrollabile che nelle nostre vite gioca il fato, o destino, o caso o come più vi piace chiamarlo.

La macchina della psicologia

Nei periodi di cambiamenti (sia quelli vissuti con i propri tempi che in quelli dai tempi dettati dall’esterno) capita spesso che le persone arrivino in terapia e chiedano “aiuto” allo psicologo. Mi piace visualizzare questo incontro e questo percorso in questo modo: come se fosse una comoda automobile, tendenzialmente è il paziente che guida mentre il terapeuta tiene in mano una cartina a cui attingere solo se strettamente necessario. Un mio didatta ha detto “noi siamo i veicoli del cambiamento ma se i pazienti non montano in macchina non andiamo da nessuna parte” e da qui in me si è

La macchina della psicologia, ph. Clem Onojeghuo

radicata questa dolce immagine. È vero che detto così sembra che lo psicologo si lasci portare e che solo di tanto in tanto apra bocca per dire qualcosa, ma lasciate che approfondisca: osservare come quella persona guida quella macchina, avere il permesso di salirle accanto, osservare il paesaggio con i suoi occhi e sentire come lei sente è tutto fuorché un passivo lasciarsi trasportare. Per altro credo che lo psicologo non sia uno che debba parla tanto… Non è un predicatore, è piuttosto uno che fa parlare gli altri. E gli altri con gli altri. E non ‘guarisce’ le persone mettendosi al volante al loro posto ma le assiste, e assiste al loro cambiamento, accompagnandole in un processo che spesso crea instabilità e dolore prima di arrivare ad un risultato atteso. Dopotutto per strada ci sono buche, dossi, interruzioni forzate e a volte qualche frana.

 

Ps. Si può reagire al cambiamento con un viaggio!

 

Dott.ssa Anna Maria Zamponi