Leggendo questo titolo si possono immaginare molte cose. Personalmente ho trovato curioso e intrigante chiamare una modalità di pensiero e ragionamento che accomuna molti di noi in un modo così esplicativo, diretto. Alla fin fine non c’è niente di male nell’aprire gli occhi alle persone […]
Il lessico emotivo è tutto ciò che riguarda il vasto mondo delle emozioni e della loro espressione: come le nominiamo e le raccontiamo e prima di tutto questo c’è quindi come le percepiamo e riconosciamo. Come si forma l’esperienza emozionale Ognuno di noi possiede il […]
Qualche settimana fa per puro caso mi sono ritrovata a guardare dopo anni “La storia infinita” (l’adattamento del 1984 diretto da Wolfgang Petersen dell’omonimo romanzo di Michael Ende). Questo film che da bambina ha sempre suscitato la mia gioia ed invidia per Bastian e le sue avventure oggi ha acquisito un significato del tutto diverso: vuoi l’averlo guardato con occhio adulto, vuoi la formazione professionale, non ho potuto fare a meno di notare e lasciarmi coinvolgere dal significato “per grandi” che si nasconde nella storia di Bastian. Proverò a spiegarmi meglio e per farlo mi concentrerò sulle scene iniziali che ci mostrano Bastian alle prese con la sua quotidianità familiare.
Il lutto in famiglia
Il film comincia con il risveglio di Bastian da un incubo, il bambino scende quindi a fare colazione e seduto al tavolo inizia la sua giornata combattendo con un barattolo di marmellata che non riesce ad aprire, Bastian si impegna con tutte le sue forze ma alla fine interviene il padre che prendendo il barattolo dalle sue mani lo apre con estrema facilità e glielo rende. Fra i due inizia allora una conversazione: Bastian dice “l’ho di nuovo sognata… La mamma, sai”.
Siamo alle prese con qualche cosa di potente e doloroso, capiamo subito che in questa famiglia è venuta a mancare la mamma, una figura fondamentale. Il padre dopo la frase del figlio resta fermo quasi spiazzato e non sembra, almeno in apparenza, empatizzare con l’affermazione titubante pronunciata da Bastian che resta seduto al tavolo come aspettando il permessoper poter essere triste almeno un po’. Il padre allora lo guarda e dice di capirlo intimando poi al bambino e a se stesso “dobbiamo andare avanti sai…”.
La prima riflessione che questo scambio di battute e sguardi mi suscita è di grande tenerezza ma anche di dispiacere: abbiamo una figura adulta, un genitore che non si concede e non concede di conseguenza nemmeno al figlio la possibilità di sperimentare condividendola la giusta tristezza che un lutto di questa portata comporta. La reazione è invece molto razionale e pragmatica “andare avanti”, una frase impattante che stordisce sia l’uomo che il piccolo Bastian che ascolta ligio e serissimo.
Il bambino adultizzato
Bastian rappresenta un bambino smarrito e adultizzato che si preoccupa di non dare (o almeno ci prova) alcun disturbo, un bambino caparbio che desidera cavarsela da solo senza chiedere l’aiuto di nessuno; nemmeno del papà su cui sembra non voler pesare (come era stato poco prima col barattolo di marmellata) probabilmente per difenderlo ed alleggerirlo dal carico che comporterebbe per un uomo così addolorato ed impegnato occuparsi di un bambino della sua età in un momento così critico.
Non c’è spazio per la tristezza nominata e condivisa in questa cucina e questo padre non si permette e legittima di esplorare quella che è l’emozione dominante, precludendola di conseguenza al figlio. Questa dura reazione diventa maggiormente comprensibile se immaginiamo le difficoltà che questo papà si trova ad affrontare da solo: il dolore che vive per la sua perdita e la preoccupazione per il futuro suo e del bambino; viene da chiedersi se abbia paura ad affrontare l’argomento della morte della moglie perché difficile da spiegare o se invece faccia fatica a parlarne proprio per la grande sofferenza.
Il padre inizia poi a parlare di responsabilità e di doveri: la scuola di Bastian l’ha contattato riferendogli alcune disattenzioni del bambino concentrato su fantasie di mondi inesistenti popolati da unicorni. In modo molto deciso il papà fa capire al figlio che la morte della mamma non può essere usata come scusante per sfuggire dai doveri, Bastian viene riportato nella realtà “è ora di scendere dalle nuvole e restare con i piedi per terra”.
Questo fantasma materno viene utilizzato come sostegno genitoriale dal padre che si prende così cura del bambino indirizzandolo verso quella che immagina essere la cosa giusta da fare: impegnarsi a scuola con serietà, come avrebbe voluto anche la mamma. Colpisce come anche rispetto alla dimensione scolastica manchi il dialogo con questo genitore, Bastian è infatti tormentato da alcuni bulli e sceglie di non confidarsi con il padre, forse proteggendolo nuovamente.
Nella terra di Fantàsia …
La fortuna di questo papà è quella di avere un figlio sensibile e resiliente che troverà nella terra di Fantàsia (ovvero la sua fantasia) in cui verrà catapultato leggendo un misterioso libro la possibilità di confrontarsi e vincere tutti gli spettri di un dolore così grande. Bastian conoscerà l’antagonista: il Nulla che minaccia di inghiottire il mondo di Fantàsia e leggendo le avventure di Atreyu scoprirà come affrontarlo. Questo cattivo dal nome così diretto richiama il lutto materno, l’impossibilità di sperimentare il dolore o la possibilità di condividerlo, l’infanzia che sta terminando. Bastian/Atreyu attraverso questa grande avventura arriverà a sconfiggere questo minaccioso mostro imbracciando le armi del coraggio che lo porteranno ad affrontare le paludi della tristezza (altro avversario dal nome esplicativo) dove rivivrà la perdita luttuosa, perdendo il proprio cavallo, ma saprà affrontarla direttamente senza negarla, piangendo la scomparsa del cavallo proprio lì dove il triste fatto avviene.
La forza di vivere a pieno le proprie emozioni porterà il bambino a credere in se stesso, conoscendosi realmente in tutte le sue sfaccettature emotive davanti all’oracolo che attraverserà quindi incolume e che altrimenti l’avrebbe incenerito. Tutte le avventure di Atreyu sono condite anche da un pizzico di sana fortuna incarnata da Falcor, il fortunadrago, che agevola il succedersi delle cose ma non per questo le facilita. Vedremo poi infine Bastian riconoscersi nello stesso Atreyu davanti alla specchio e scoprire tutte quelle parti di se stesso (coraggio, forza, disperazione per la perdita, ostinazione) che fino a quel momento nessun adulto era stato in grado di vedere e legittimare per lui.
Nella parte finale dell’avventura nella terra di Fantàsia Bastian (che adesso assume il suo aspetto e non quello del suo alterego eroico) troverà la forza di urlare al mondo il suo dolore: il nome della mamma che non c’è più e allo stesso tempo salverà la terra di Fantàsia. Bastian nominando finalmente la madre perduta con tanta forza e disperazione la renderà eterna dentro di sé e creerà un ricordo condivisibile ed accessibile, per quanto doloroso.
Ecco quindi come la migliore risorsa si rivela essere la possibilità di conoscere e successivamente affrontare lo stesso dolore, Bastian viene accompagnato dai personaggi di Fantàsia ma nella nostra quotidianità è importante che a fare questa parte siano le persone care verso cui i bambini nutrono sentimenti profondi di fiducia e amore: la morte fa paura ed è a tratti incomprensibile ma renderla innominabile non è la soluzione, anzi.
Cosa ci racconta dunque la storia infinita?
La storia infinita è un viaggio attraverso l’elaborazione del lutto, la scoperta del diritto alla paura ed alla tristezza e, successivamente, la conquista della armi necessarie ad affrontare questi mostri. È un augurio, una storia di speranza che sottolinea come la nostra fantasia sia una grande ed incommensurabile risorsa che ci permette di affrontare momenti complessi. Per tutti questi motivi credo sia un film che i bambini debbano vedere e che gli adulti non devono dimenticare.
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Una caratteristica che da sempre contraddistingue noi Italiani è quella dell’attaccamento alla famiglia: le gonne di mamma, i rituali domenicali di papà, il profumo del sugo di prima mattina e il rumore della famiglia riunita attorno al tavolo. Sono immagini stereotipate ma che spesso significano qualcosa per ciascuno di noi e in un certo qual modo ci riconosciamo in queste allegorie che ritraggono il mito dell’unita e grande famiglia Italiana.
Oggi molte famiglie arrivano in terapia con una richiesta: “aiutaci a imboccare e percorrere la strada giusta”.
Spesso questa domanda viene posta dalla giovane adulta che chiede aiuto per chiudersi la porta alle spalle senza per questo ferire nessun genitore. Spesso sono i genitori a cercare un sostegno nell’accompagnare delicatamente il figlio nel suo percorso di crescita e svincolo o ancora arrivano chiedendo tutti assieme che siano placati quei litigi e quelle tensioni che non ne vogliono sapere di passare e che forse servono proprio a tenere tanto occupate e affaccendate tutte quelle persone che così facendo hanno il diritto di restare ancora un po’ assieme sotto lo stesso tetto, anche per sistemare le cose.
Il tetto, la casa.
Ecco la casa è l’abitazione dentro cui avvengono vicende e faccende familiari di ogni sorta ma possiamo immaginarla anche come tutto ciò che rende il legame con la famiglia di origine saldo e forte: il contenitore degli affetti e delle relazioni che le persone creano e rinsaldano giorno dopo giorno nutrendolo della loro reciprocità relazionale. Spesso questa casa viene percepita come impossibile da lasciare e superare. Spesso è davvero difficile uscire fuori da quella casa bene: senza fratture, dolori e litigi che segneranno tutti per molto tempo.
Aprire la porta senza sfondarla, uscire accompagnandola delicatamente alle proprie spalle per poi farvi ritorno in autonomia nel futuro per molti ragazzi è complicato.
Lo svincolo
Il perché alcuni svincoli siano così complessi è un argomento incredibilmente vasto e difficile da sviscerare dato che ogni svincolo risente della storia della sua famiglia ed ogni nucleo familiare ha dei suoi modelli che sono tanto vari e variegati quante sono le persone. Raggruppare per grandi categorie potrebbe essere possibile ma non lo ritengo utile, ciò che invece credo possa essere d’aiuto è comprendere che superare quell’impasse che molti giovani vivono è qualcosa che deve avvenirenel migliore dei modi, poiché è un passaggio ad una nuova fase di vita e non un taglio netto con tutto quello che c’è stato prima: quella porta deve essere aperta ed attraversata.
Sottolineo aperta ed attraversata perché il legame con la famiglia è qualcosa che non si può distruggere e una separazione avvenuta in maniera traumatica influenzerà tutto il resto della vita sia di chi lascia la casa d’origine sia di chi vi rimane. Quando guadagnare la giusta distanza emotiva e fisica diventa complesso è importante non mettere in atto degli strappi repentini ma rendersi conto che il dialogo e le giuste distanze sono fondamentali; il bisogno di distanza emotiva non riguarda un sentimento che cambia poiché andarsene di casa non significa non volersi più bene.
E quindi come?
Spesso dopo tentativi ed errori le famiglie riescono ad aggiustarsi e quindi gli svincoli avvengono naturalmente, senza eccessivi dolori e difficoltà. Quando questo non avviene e lo svincolo si rivela particolarmente doloroso e complesso da gestire molte famiglie scelgono di richiedere l’aiuto di uno psicologo per affrontare assieme questo passaggio di vita. Semplificando possiamo dire che: riuscire a parlarsi ed ascoltarsi fino alla fine, armarsi di nuove strategie e prospettive disinvestendo emotivamente dalla famiglia d’origine e cominciando a proiettarsi nel mondo esterno, comprendere il punto di vista ed il vissuto dell’altro sono alcuni degli utili strumenti da imparare a padroneggiare e degli obiettivi da raggiungere, accompagnati inizialmente dal professionista per poi proseguire autonomamente.
Buona crescita a tutti!
Alcuni titoli utili sull’argomento:
Canevaro A. (2009) Quando volano i cormorani.Terapia individuale sistemica con il coinvolgimento dei familiari significativi.
Bowen M. (1980) Dalla famiglia all’individuo. La differenziazione del sé nel sistema familiare.
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